Il Repechage del lavoratore se sono disponibili mansioni appartenenti allo stesso livello
Con l’Ordinanza n. 31561 del 13.11.2023, la Corte di Cassazione, muovendo dalle modifiche dell’art. 2103 cod. civ, che (i) rende ora esigibili a vantaggio dell’impresa, anche previa formazione, mansioni comunque appartenenti alla categoria legale e al livello contrattuale di quelle in precedenza svolte dal dipendente, e (ii) dall’altro lato ha imposto al datore di lavoro l’onere di provare l’oggettiva impossibilità di assegnare al dipendente, in caso di soppressione del suo posto di lavoro, mansioni diverse incluse nel medesimo livello contrattuale, ha fissato alcuni principi molto significativi in tema di licenziamento per motivo oggetto e obbligo di repechage.
Vediamo in sintesi i punti salienti dell’ordinanza della Cassazione:
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spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del dipendente licenziato;
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trattandosi di prova negativa, il datore di lavoro ha sostanzialmente l’onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti, di tipo indiziario o presuntivo, idonei a persuadere il Giudice della veridicità di quanto allegato circa l’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale. Usualmente si prova che nella fase concomitante e successiva al recesso, per un congruo periodo, non sono avvenute nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti una professionalità non posseduta dal prestatore;
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sin da Cass. SS.UU. 7755/1998 è stato sancito il principio per il quale la permanente impossibilità della prestazione lavorativa può oggettivamente giustificare il licenziamento sempre che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni non solo equivalenti ma anche inferiori;
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il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore;
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la verifica in ordine alla incapacità professionale del licenziato di svolgere mansioni, anche inferiori, alle quali sono stati destinati i neoassunti deve essere effettuata non in astratto ma in concreto sulla base di circostanze oggettivamente riscontrabili allegate dal datore di lavoro ed avuto riguardo alla specifica condizione ed alla intera storia professionale di un ben individuato lavoratore;
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l’area della mansioni esigibili dall’imprenditore nei confronti del lavoratore è delimitata per relationem dal livello di inquadramento individuato sulla base della disciplina collettiva applicabile oltre che dalla categoria legale;
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il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dal CCNL non può rappresentare un circostanza muta di significato ma, anzi, costituisce un elemento che il giudice dovrà valutare per accertare in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo sebbene inquadrato nello stesso livello o al livello inferiore (nel caso in esame la verifica non avrebbe potuto essere condotta sulla base del rilievo che le successive assunzioni hanno interessato lavoratori adibiti a mansioni non di cassiere bensì sulla dimostrazione in concreto che la “cassiera” licenziata non fosse in grado di occupare alcuno dei ruoli per i quali sono state assunte dall’azienda dieci figure professionali tra camerieri, aiuto cuoco, lavapiatti e altro).
L’avvocato Giuseppe Chiarella opera a Lecco e si occupa anche di risarcimento danni.